LA CORTE D'APPELLO

    Nella  causa  d'appello  promossa  con  ricorso  depositato il 10
novembre  2003  da  Istituto  Nazionale  della  Previdenza  Sociale -
I.N.P.S.,  in  persona del suo Presidente pro tempore rappresentato e
difeso  dagli  avv.ti  Pasquale  Augelletta,  Floro  Flori  e Susanna
Mazzaferri in virtu' di procure generali alle liti del notaio F. Lupo
di  Roma,  elettivamente  domiciiato  in  Ancona,  p.za Cavour n. 21,
appellante;
    Contro  Azienda  Agricola  Saltarelli Giuseppe e Migiani Pasquale
con  sede  in  Sassocorvaro (PU) in persona del legale rappresentante
Giuseppe  Saltarelli;  con  gli  avv.ti  Pietro  Michienzi  e  Nicola
Mangione,  giusta  procura a margine della memoria di costituzione in
appello, appellata; all'udienza di discussione del 3 dicembre 2004 ha
pronunciato la presente ordinanza.
    1.  -  L'Azienda Agricola Saltarelli Giuseppe e Miglani Pasquale,
in  persona  del legale rappresentante Giuseppe Saltarelli, ricorreva
al  giudice  del  lavoro  presso  il  Tribunale  di  Pesaro, con atto
depositato il 4 marzo 2002.
    1.1  - Stando alla sua prospettazione, essa operava con personale
dipendente  in terreni ubicati in zona definita svantaggiata, per cui
beneficiava  della riduzione contributiva prevista dall'art. 9, comma
5, legge n. 67/1988.
    1.2  -  Su  queste  premesse chiedeva anche il riconoscimento del
proprio  diritto  alla  fiscalizzazione  degli oneri sociali, siccome
prevista dall' art. 1, comma 6, decreto-legge n. 536/1987, convertito
nella  legge  n. 48/1988,  che viceversa l'I.N.P.S. intendeva negare,
poiche'  con  propria  circolare  n. 160  del  18  luglio  1988 aveva
ritenuto  l'incompatibilita'  di  tale  beneficio  con  la  riduzione
contributiva  predetta.  Per  cui  invocava la condanna dell'Istituto
alla  restituzione  dei pagamenti indebiti eseguiti, indicati in Euro
30.404,83, oltre accessori.
    2. - L'I.N.P.S., nel costituirsi, opponeva:
        la  mancata  prova,  da  parte dell'attrice, del possesso dei
requisiti utili alla fruizione del beneficio richiesto;
        la   non   cumulabilita'   degli   stessi  con  la  riduzione
contributiva prevista dall'art. 9, comma 5 legge n. 67/1988;
        in  subordine,  nell'ipotesi  di  accoglimento della domanda,
l'avvenuta  acquisizione  alle singole gestioni, a mente dell'art. 8,
d.P.R.   n. 818/1957,  dei  contributi  per  i  quali  l'accertamento
dell'indebito  versamento  sia  posteriore  di  oltre cinque anni dal
giorno  in  cui  il  versamento stesso e' riferito (c.d. prescrizione
quinquennale).
    4.1.  -  Con sentenza emessa il 3 ottobre 2003 e depositata il 17
seguente,  il giudice accoglieva la domanda, condannando l'I.N.P.S. a
restituire all'Azienda ricorrente l'importo di Euro 30.156,76 (pari a
L. 58.391.610), frutto di concorde definizione fra le parti, «con gli
interessi   legali   dal  giorno  di  maturazione  del  diritto  fino
all'effettivo saldo».
    4.2. - Riteneva il Tribunale:
        pacifico  e  non contestato «che la ricorrente benefici delle
agevolazioni  di cui all'art. 9, comma 5, della legge n. 67 del 1988,
previste  per  gli  imprenditori agricoli che operino in zone montane
svantaggiate   diverse   dal  Mezzogiorno  d'Italia»,  per  le  quali
costituiscono  «ineludibili  presupposti  (...) sia la ricorrenza del
requisito  soggettivo  di datore di lavoro del settore agricolo (cfr.
visura   C.C.I.A.A.  25 febbraio  2002  in  atti)  operante  in  zona
svantaggiata  ...  ,  sia  l'applicazione  dei  Contratti  collettivi
nazionali   o   degli  accordi  territoriali  ivi  previsti  (art. 3,
decreto-legge   n. 326/1985)»   e   che   «il   medesimo  presupposto
costituisce ... condizione utile della invocata fiscalizzazione»;
        la  compatibilita' fra lo sgravio fruito e la fiscalizzazione
richiesta,  atteso  che  la  disposizione di cui all'art. 9, comma 6,
legge  n. 67/1988,  secondo  cui  «Per  i  calcoli delle agevolazioni
previste  per  le aziende operanti nei territori montani e nelle zone
agricole  svantaggiate  non  si  tiene  conto  delle  fiscalizzazioni
previste  dall'art. 1  del D.L. n. 536 del 1987, conv. in legge n. 48
del  1988 [quelle oggetto di domanda] sulla quale l'I.N.P.S. poggiava
il  suo rifiuto, stava a dimostrare proprio il contrario (cosi' Cass.
sez. lav. 27 ottobre 2000, n. 14227);
        la  non  applicabilita'  alla  specie, secondo un consolidato
orientamento   di   legittimita',   della  prescrizione  quinquennale
prevista   dall'art. 18,  d.P.R.  n. 818/1957,  stante  il  carattere
eccezionale  di  quest'ultima  disposizione,  sulla  scia  di copiosa
giurisprudenza di legittimita'.
    5.  -  Avverso  tale decisione, notificata il 22 ottobre 2003, ha
interposto  rituale  gravame  a  questa  Corte  l'I.N.P.S.,  con atto
depositato il 10 novembre successivo.
    5.1.  -  Ha innanzi tutto ribadito il rilievo circa il difetto di
dimostrazione  in  ordine  all'esistenza  delle  condizioni  utili al
godimento  del  beneficio  medesimo, sotto lo specifico profilo della
mancata  comunicazione  ad  esso  Istituto  del  contratto  di lavoro
applicato e della prova della relativa applicazione.
    5.2 - Ha quindi reiterato l'opzione relativa all'incompatibilita'
della  fiscalizzazione  con  lo  sgravio  contributivo  fruito  dalle
controparti,  nel frattempo affermata, con interpretazione autentica,
dall'art. 44, d.l. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326/2003.
    5.3  Ha infine insistito, in via subordinata, sull'applicabilita'
al  caso  della  prescrizione  quinquennale prevista dalla richiamata
norma speciale, in luogo di quella ordinaria.
    6.  -  L'appellata,  costituitasi, ha resistito all'impugnazione,
sollevando  in  ogni  caso  problema di illegittimita' costituzionale
dell'art. 44,  d.l.  n. 269/2003, convertito nella legge n. 326/2003,
laddove  viene  attribuita  a  tale  norma  valore di interpretazione
autentica dell'art. 9, comma 6, legge n. 67/1988.
    7.  -  Si  rende  opportuna una sommaria ricognizione delle fonti
disciplinanti la materia coinvolta nella controversia.
    L'art. 9,  comma  5,  legge  n. 67/1988 prevede che «I premi ed i
contributi  relativi  alle  gestioni  previdenziali ed assistenziali,
dovuti  dai  datori  di  lavoro  agricolo  per  il  proprio personale
dipendente,   occupato   a   tempo  pieno  indeterminato  e  a  tempo
determinato   nei   territori   montani  di  cui  all'art. 9,  d.P.R.
29 settembre  1973, n. 601, sono fissati nella misura ... - omissis -
I  predetti  premi  e contributi dovuti dai datori di lavoro agricolo
operanti  nelle  zone  agricole  svantaggiate,  delimitate  ai  sensi
dell'art. 15,  legge  27 dicembre  1977,  n. 984,  sono fissati nella
misura del ... - omissis -».
    Trattasi del beneficio gia' fruito dall'appellata.
    Quanto  alla  fiscalizzazione degli oneri sociali, costituente la
materia   del   contendere  della  presente  controversia,  l'art. 1,
comma 60,   d.l.  n. 536/1987,  convertito  nella  legge  n. 48/1988,
dispone  che  «A  favore dei datori di lavoro del settore agricolo e'
concessa  a decorrere dal periodo di paga in corso al 1° gennaio 1987
e  fino  a tutto il periodo di paga in corso al 30 novembre 1988, per
ogni  mensilita'  fino  alla  dodicesima  compresa, una riduzione sul
contributo di cui all'art. 31, comma 1, della legge 28 febbraio 1988,
di lire 133.000 per ogni dipendente ...».
    Prosegue  in  proposito  il  comma  11:  «Le  riduzioni di cui al
presente articolo non spettano per i lavoratori che:
        a) non siano stati denunciati agli istituti previdenziali;
        b) siano  stati  denunciati  con  orari  o giornate di lavoro
inferiori a quelli effettivamente svolti;
        c) siano stati denunciati con retribuzioni inferiori a quelle
minime  previste  dai  Contratti collettivi nazionali e provinciali a
decorrere dal periodo di paga in corso al 1° gennaio 1986».
    Sempre sul tema, l'art. 6, comma 12, d.l. n. 338/1989, convertito
nella  legge  n. 389/1989,  aggiunge  che  le riduzioni «non spettano
altresi',  a  decorrere  dal  periodo  di  paga in corso alla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ai
datori  di  lavoro  che  non  diano  comunicazione  all'I.N.P.S.  del
Contratto   collettivo   nazionale   di   lavoro,   stipulato   dalle
organizzazioni   sindacali   maggiormente  rappresentative,  da  essi
applicato».
    E'   percio'   chiaro  che  detta  comunicazione  costituisce  un
ulteriore  onere, il cui mancato adempimento preclude la possibilita'
di godere del beneficio.
    7.1.  -  Cio'  posto  in  premessa, va detto che ad una sominaria
delibazione degli elementi acquisiti, emerge che:
        gli stessi Ispettori dell'I.N.P.S., nei verbali del 18 aprile
2002   esistenti   in  atti,  testualmente  affermano:  «Il  presente
accertamento  riguarda  il periodo dal 1° gennaio 1996 al 31 dicembre
1999  ed  e'  finalizzato alla sola verifica degli imponibili presi a
base  per  il  calcolo  della  fiscalizzazione  degli  oneri  sociali
richiesti  dalla ditta ... A seguito di richiesta dei benefici di cui
alla  legge  n. 48/1988,  fiscalizzazione degli oneri sociali, che la
ditta non aveva potuto usufruire per effetto di quanto disposto dalla
circolare  I.N.P.S.  n. 160/1988 ma che ritiene di avervi diritto dal
1°  gennaio  1996  al  31 dicembre 1999 l'Unita' di Processo Gestione
Area  Agricola  ha  proposto  un accertamento ispettivo nei confronti
della  ditta in argomento perche' i dati indicati nella richiesta non
trovano  riscontro  con  quanto  denunciato  dalla stessa. Dall'esame
della   documentazione  in  possesso  della  ditta  e  dai  riscontri
effettuati   sulla   base   degli   atti  della  Sede,  trasmessi  ai
sottoscrittori verbalizzanti, e' stata ricostruita tutta la posizione
retributiva  e  contributiva  dell'azienda  circa  le  zone montane e
svantaggiate,  interessate  ai  benefici  di  cui  sopra, che risulta
essere  la  seguente: ... Per quanto tutto cio' precede l'importo per
la  fiscalizzazione  degli  oneri  sociali  e'  il  seguente ... »; a
dimostrazione   del   buon  diritto  della  societa'  appellata  alla
fiscalizzazione,  stante il riscontrato rispetto della contrattazione
collettiva richiesta, vuoi per gli operai, vuoi per gli impiegati;
        il  12 settembre 2003 e cioe' nel corso del giudizio di primo
grado  -  e'  stata trasmessa dalla societa' e ricevuta dall'I.N.P.S.
(come  attestato  dal  relativo timbro di ricezione) la comunicazione
con  cui  il legale rappresentante della ditta appellata «Dichiara di
aver sempre corrisposto nei periodi sopra indicati i minimi salariali
previsti  dai  C.C.N.L.  e dai contratti territoriali in vigore per i
dipendenti OTI, OTD ed impiegati nel settore agricolo»: il che appare
del  tutto  sufficiente  ai fini che qui rilevano, tenendo conto che,
versandosi in tema di requisiti integranti condizioni dell'azione, e'
sufficiente la loro verificazione al momento della decisione.
    7.2. - Quanto alla compatibilita' della richiesta fiscalizzazione
con  le  agevolazioni  per le zone montane e svantaggiate di cui alla
legge   n. 67/1988,  oltre  alla  copiosa  giurisprudenza  di  merito
prodottasi   sul  tema,  va  rammentata  per  la  perspicuita'  delle
argomentazioni  l'unica decisione di legittimita' prodottasi sul tema
(Cass,   sez.   lav.,   27   ottobre   2000,  n. 14227,  fra  l'altro
favorevolmente   annotata  in  Diritto  e  giurisprudenza  agraria  e
dell'ambiente,  2002,  1,  33),  cosi' espressasi al riguardo: «I due
benefici  non sono incompatibili tra loro. Difatti essi sono previsti
da  leggi  diverse  con  finalita'  diverse:  la prima per le aziende
agricole operanti nel Mezzogiorno, la seconda per le aziende agricole
operanti  nei  territori  montani  o  in  altre  zone particolarmente
svantaggiate.  Pertanto  si  deve  ritenere  che  quando  un `azienda
presenti  i  requisiti  previsti da entrambe le norme possa godere di
entrambi  i  benefici  ...  D'altra  parte l'istituto ricorrente, pur
contestando  l'interpretazione  della  legge  data dal Tribunale, non
giustifica  in  modo convincente la sua tesi circa l'incompatibilita'
dei  due  benefici  tra  loro.  In  particolare,  non  puo' dirsi che
costituisca  un valido argomento in tal senso il fatto che il comma 6
dell'art. 9  della  legge  11 marzo  1988,  n. 67 disponga che, per i
calcoli  delle  agevolazioni  previste  per  le  aziende operanti nei
territori  montani  e  nelle zone agricole svantaggiate, non si tiene
conto delle fiscalizzazioni previste dall'art. 1 del d.l. 30 dicembre
1987  n. 536,  cosi'  come  convertito  dalla legge 29 febbraio 1988,
n. 48.  Con  la  norma  in  esame,  infatti, il legislatore ha voluto
precisare  che lo sgravio contributivo va operato sull'aliquota piena
e   non   gia'   defiscalizzata:   non   ha,   pertanto,  escluso  la
compatibilita'  dei  due  benefici  ma,  semmai,  ha  presupposto  il
contemporaneo  godimento  di  essi.  D'altra  parte,  il legislatore,
quando  ha  inteso  escludere  dal  beneficio  della  riduzione della
fiscalizzazione  degli  oneri  sociali i datori di lavoro del settore
agricolo   operanti   in  territori  del  Mezzogiorno,  lo  ha  detto
espressamente;   difatti  l'art. 6  del  d.l.  n. 536  dell'anno 1987
esclude  espressamente  dalla  riduzione  sul  contributo i datori di
lavoro  del settore agricolo operanti nei territori di cui alle leggi
sugli  interventi del Mezzogiorno, mentre nei confronti dei datori di
lavoro  del settore agricolo operanti in zona montana particolarmente
svantaggiata nulla e' stato detto al riguardo».
    7.3.  -  La  giurisprudenza  di  vertice  ha  ritenuto  parimenti
infondata  l'applicazione  nella  soggetta materia della prescrizione
quinquennale  prevista,  per  altra disciplina, dall'art. 8, comma 1,
d.P.R. n. 818/1957.
    Invero  «il  diritto  al rimborso di somme indebitamente versate,
concernente  gli  sgravi  di  cui  all'art. 18,  d.l. 30 agosto 1968,
n. 918  (convertito,  con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 1968,
n. 1089)  e  successive  modificazioni  ed integrazioni, inquadrabile
nella  fattispecie  dell'indebito  oggettivo  ex l'art. 2033 c.c., e'
soggetto  all'ordinaria prescrizione decennale ex art. 2946 c.c., non
potendo  trovare  applicazione  l'art. 8,  comma  primo,  del  d.P.R.
26 aprile  1957,  n. 818 (secondo il quale i contributi o le quote di
contributi   indebitamente   versati,   per  i  quali  l'accertamento
dell'indebito  versamento  sia  posteriore  di oltre cinque anni alla
data  in  cui  il  versamento  stesso  e' stato effettuato, rimangono
acquisiti  alla  singola gestione e sono computabili agli effetti del
diritto alle prestazioni o della misura di esse), stante il carattere
eccezionale  di  quest'ultima  disposizione  e  la  diversita' tra la
disciplina   complessiva   nella   quale   essa   si  inserisce  (non
riconducibile   ad  una  semplice  previsione  prescrizionale)  e  la
situazione  conseguente  all'indebito  versamento  di  contributi non
dovuti  per  effetto degli sgravi» (nei termini: Cass., sez., lav., 6
maggio 1996, n. 4170).
    8.  -  Sicche'  residua  la  sola  questione relativa al disposto
dell'art. 44, d.l. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326/2003, a
tenor  del quale «l'art. 9, comma 6, della legge 11 marzo 1988. n. 67
e  successive  modificazioni  e integrazioni, si interpreta nel senso
che le agevolazioni di cui al comma 5 del medesimo art. 9, cosi' come
sostituito  dall'art. 11  della  legge  24 dicembre 1993, n. 537, non
sono  cumulabili  con i benefici di cui al comma 1 dell'art. 14 della
legge  1° marzo 1986, n. 64, e successive modificazioni, e al comma 6
dell'art. 1  del  decreto-legge  30 dicembre  1983, n. 536 convertito
dalla  legge  29  febbraio  1988,  n. 48 e successive modificazioni e
integrazioni.  In  ordine  alla  quale  la  difesa  dell'appellata ha
comunque eccepito l'illegittimita' costituzionale.
    8.1.  -  Onde  l'evidente  rilevanza  della  relativa  questione,
sembrando  alla  Corte  -  per  quanto  fin  qui detto che solo dalla
risoluzione di questa dipenda l'esito del giudizio.
    8.2.  -  Quanto  al  profilo  di non manifesta infondatezza della
stessa,   vanno   richiamate  alcune  decisioni  della  stessa  Corte
costituzionale in materia di leggi di interpretazione autentica.
    Ha  correttamente  rammentato  la  difesa dell'appellata che piu'
volte,  da  parte della stessa Corte, e' stato affermato il principio
secondo  cui,  pur  avendo  il legislatore il potere di emanare norme
interpretative  e  come  tali  provviste  di  efficacia  retroattiva,
tuttavia  non  deve  violare  il  principio di ragionevolezza o altri
precetti costituzionalmente garantiti (cosi' sent. n. 246/1996).
    In  particolare  tale  potere  non  puo'  essere  utilizzato  per
mascherare   norme  effettivamente  innovative  dotate  di  efficacia
retroattiva,   in   quanto  cosi'  facendo  la  legge  interpretativa
tradirebbe  la  funzione  che  le  e'  propria  (nei  termini:  sent.
n. 397/1994).
    Ne'  la  retroattivita'  di  una  disposizione  legislativa «puo'
trasmodare  in un regolamento irrazionale ed arbitrariamente incidere
sulle  situazioni  sostanziali  poste  in essere da leggi precedenti,
frustrando  cosi'  anche  l'affidamento del cittadino nella sicurezza
pubblica  che  costituisce  elemento  fondamentale  ed indispensabile
dello Stato di diritto» (v. sent. n. 822/1988).
    La  legge interpretativa viola poi gli artt. 101, 102 e 194 della
Costituzione  quando  essa, «sia intenzionalmente diretta ad incidere
sui giudizi in corso», ovvero quanto «il Legislatore, oltrepassando i
limiti  di  ragionevolezza, ha definito interpretativa una disciplina
che invece ha natura innovativa» (sent. n. 155/1990).
    Del  resto,  pur  ritenendosi  ammissibile l'adozione di norma di
interpretazione  autentica  in  difetto  di  contrasto  esegetico  in
giurisprudenza,   una  simile  discrezionalita'  del  legislatore  va
esercitata  - in ossequio al richiamato principio di razionalita', di
rango costituzionale - laddove la pur univoca interpretazione integri
un vero e proprio stravolgimento del significato di una norma.
    Il che qui non e', per quanto visto.
    Infatti:
        la  disposizione  all'esame  aveva ricevuto esegesi univoca e
del  tutto  coerente con i canoni all'uopo dettati dall'art. 12 delle
c.d.  «preleggi»,  come emerge dalla lettura della riferita decisione
della  suprema  Corte,  al  punto da non presentare affatto oggettiva
necessita' di interpretazione autentica; per cui l'adozione, ad opera
del  Legislatore,  di  un  tale  strumento  normativo  pare  rendersi
violatrice  del  principio  della  separazione  dei poteri codificato
negli  artt. 101,  102  e  104 della Costituzione, risolvendosi nella
imposizione  -  anche  per  il  pregresso e salvi gli ovvi limiti del
giudicato  -  di  una  interpretazione contraria al dettato normativo
originario;
        nel  caso  poi  l'esercizio  del  potere  di  interpretazione
autentica  non  appare neppure esercitato con la debita razionalita',
in  quanto posto in essere dopo ben quindici anni dalla promulgazione
della  norma  (senza  che  nel  periodo  si  siano verificati fra gli
interpreti  palesi  dissensi  ermeneutici) e cioe' dopo un periodo di
tempo  tale  da  permettere  la  formazione di un indirizzo univoco e
consolidato in giurisprudenza - come quello che qui si e' manifestato
-  e  quindi  la soluzione definitiva di alcuni casi concreti: il che
viola   il   disposto   dell'art. 3   della  Costituzione  anche  per
l'ulteriore  profilo  della  lesione del principio dell'affidamento e
della  conseguente  disparita'  di  trattamento  fra casi consimili e
coevi,  a  seconda  dell'avvenuta  formazione o meno del giudicato al
riguardo.
    9. - La soluzione della questione va percio' demandata alla Corte
costituzionale,   cui   debbono   essere  rimessi  gli  atti,  previa
sospensione del processo ed esperiti gli adempimenti di rito.